IDENTITA' TARANTINE. GLI ATTIMI FESTOSI DI UN POPOLO
C'è stata un’epoca in cui la vita era scandita dal richiamo delle azioni di riti particolari, di buffoni e stolti, di cantastorie di diversa natura, parti e particelle di un sapere popolare. Il culto delle divinità e la cultura del vino erano una metafora della vita e della sua continuità. Dietro la natura selvaggia, la possessione estatica, la danza, le maschere, Dioniso risvegliava l'entusiasmo popolare tarantino. "...l'eccitazione si era trasmessa all'intero bosco, alle belve: non c'era più niente di fermo, tutto si agitava in frenesia”. Lo storico Strabone era greco come i tarantini. Egli constatò che a Taranto i giorni di divertimento superavano quelli di lavoro: una spiccata tendenza festiva che fece gridare in età moderna “al trionfo della festa e della cultura della festa”. Pare che Archita avesse realizzato uno strumento folcloristico da utilizzare nelle feste popolari: la raganella. Un meccanismo particolare che permise, nel Medioevo, l’effettuazione di manifestazioni musicali ritmate. Chi rimase sgomento davanti ad un numero così elevato di divertimenti fu Pirro, in soccorso ai tarantini durante la guerra contro Roma. Dovette addirittura cercare di contenere l’eccessiva leggerezza, sia nei passatempi sia nei costumi tarantini, attraverso censure e divieti, con scarsi risultati peraltro. Il poeta Orazio compose uno spartito di sentimenti e musicalità elegiaca a cornice preziosa della storia definendola “imbelle Tarentum”, ossia la pacifica Taranto.
Rimane poco della dolce città ionica e dei suoi tanti attimi di condivisione dello svago. E pensare che era talmente acculturata che la ritualità festiva divenne un marchio di riconoscimento. Una forma di potere più alto, anche questo lasciato in eredità, incredibilmente, dalla sua millenaria storia.
MASSIMILIANO RASO
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
IN DIFESA DELLA STORIA TARANTINA
In difesa della storia tarantina
Che senso ha oggi parlare della storia di Taranto? La storia nasce dall’interesse del passato e dal piacere di scoprire in esso fatti nuovi. Lo storico Lacombe faceva appello alle emozioni, oltre che alla verità obiettiva, quando diceva: “ che utilità c’è per noi di sapere[…]che un macedone di nome Alessandro ha battuto i Persi nel luogo tale e tale, nell’anno tale e tale[…]quando non se ne trae in fondo una verità o un’emozione? Sembrerebbe che tremila anni di storia fossero rimasti volontariamente dimenticati e che per un’idea di progresso garantito dallo sviluppo sia della scienza, sia della tecnica, si potesse legittimare quell’evidente decadimento sociale, economico e culturale in itinere. Hume una volta affermò che un medico non poteva arrischiare previsioni superiori a quattordici giorni e un politico al massimo poteva prevedere un futuro di alcuni anni. La storia politica tarantina ha lasciato un vuoto abissale nella coscienza civica ionica. Le intuizioni amministrative sulla cosa pubblica tarantina hanno creato una ferita che nessun medico, quanto mai un politico bieco, potrà difficilmente sanare. Cosa occorre oggi alla città bimare? Una vera rivoluzione. La rivoluzione è quella trasformazione a lunga scadenza, quando non è violenta, di eventi e strutture che penetrano profondamente nella vita quotidiana. E’ accaduto ai Parteni, cittadini spartani non integrati, che navigando in "quel mar color del vino" approdando sulle coste tarantine, avviarono quel sovvertimento delle leggi.
Aggrapparsi al passato, che è la sostanza del tempo. Attenzione, però, può disperdersi e svanire insieme con la memoria. Cicerone, del resto, metteva in guardia quando affermava che se la memoria non la eserciti, o se sei un po’tardo di natura, diminuisce. E’ accaduto questo a Taranto? La politica ha messo da parte la cultura, ossia la storia, facendo leva sul futuro passato? Lo sviluppo “graduale e progressivo” della democrazia e dell’eguaglianza è inarrestabile e varrebbe la pena favorirne con coraggio il suo corso. Certamente in Alexis de Tocqueville affiorava, all’indomani della rivoluzione industriale, quanto meno se non preoccupazione, nostalgia e rimpianto del vecchio mondo. ”Poiché il passato non rischiara più l’avvenire, lo spirito avanza nelle tenebre”. Quando si parla di personaggi illustri come Archita, Aristosseno, Andronico, che ha tradotto per primo l’Odissea di Omero in latino, la sensazione è di grandezza rispetto ai fatti stessi la cui giusta politica di sviluppo portò Taranto a diventare la metropoli più ricca e importante dell’area magnogreca. Si assiste, però, all’arroganza di chi odia il passato e che risuona sulle labbra di avidi industriali o in laboratori dove avvengono esperimenti mortali. Allora è attuale l’arretramento democratico, il quale favorisce il rafforzamento di nuove corporazioni (sottratte al controllo dello Stato) capaci di prendere decisioni rilevanti, commerciali o ambientali, senza alcun vaglio statale. Non è possibile, parrebbe, comprendere una Taranto le cui suggestive vedute hanno portato i pittori del Grand Tour a dipingere meravigliosi paesaggi, sperimentando ed imparando a conoscere non solo l’arte, la politica, la cultura, l’ambiente. Difficile ricordare quell’emozionante paesaggio d’ulivi, di orti e il dolce Galeso ombreggiato dai pini, ora tutto circondato da un’isola nera fatta di solo squallore. Il racconto di Taranto è tutto un romanzo, nessuno vi può rinunciare. Perciò insieme diremo solo parole in difesa della storia tarantina, una grande opportunità di vita per tutti.
MASSIMILIANO RASO
------------------------------------------------------------------------------------------------------------

DIVERTIRSI E BALLARE IN ITALIA DAL DOPOGUERRA AGLI ANNI 60
Con l’Europa traghettata fuori dalla spirale negativa dei totalitarismi del periodo bellico, grazie anche al piano Marshall, una lunga età dell’oro crea le premesse per una “società del benessere”. Ai cittadini si assicura la quasi totale copertura dei bisogni, “dalla culla alla tomba” come sognava Beveridge. L’euforia conseguente la fine della seconda guerra mondiale fa esplodere la voglia di uscire dalle case per esprimere tutte le energie a lungo represse negli anni del conflitto. Al dolore, alla sofferenza per un’esistenza tormentata, è contrapposto il desiderio di divertirsi. E’ l’Italia intellettuale della cultura neorealistica, quella che si riscopre incline a distrazioni inconcepibili un tempo. Dal dopoguerra in poi la voglia di divertirsi accende gli animi. Sono in molti che si cimentano, per esempio, nel ballo: soldati, casalinghe, operai, industriali, in una frenesia collettiva che coinvolge le classi sociali più disparate. Marco Innocenti in “L’Italia del 1945” così scrive: “… Si balla nelle case, nei cortili, nelle piazze, sotto i pergolati. Si balla senza respiro[…]I fonografi a manovella diffondono le note del boogie-woogie…In un articolo degli anni cinquanta sulla “gioventù dalle ali scottante” Camilla Caderna dipinge così quella che può essere definita la piccola America di Milano: i maschi portano tutti i pantaloni di tela e camiciotti a scacchi, scarpe da tennis e giubbotti da pallacanestro con la scritta dietro(…). I milanesi li videro tutti insiemi questo inverno, quando ci fu il primo campionato di rock and roll al palazzo del ghiaccio. L’Italia è terreno fertile per nuove sperimentazioni di divertimenti e feste. Paul Ginsborg ci ragguaglia sulle centinaia di luoghi dove passare il tempo divertendosi ballando e festeggiando con tanti giovani che: “ abbandonano la costrizione della vita rurale”. In un’inchiesta sulle professioni italiane tra il ‘50 e ‘60 Giorgio Bocca segnala che nelle grandi città una persona su quattro è votata al divertimento coreutico. A voler fare due calcoli è un esercito di ballerini quello che si divide tra feste private e dancing pubblici. Intanto il mercato discografico esplode ed il Juke box, in crescita esponenziale in questi anni, diffonde sonorità inascoltate prima. Anche la moda dell’hula hop è un pretesto per darsi allo svago. Così si legge su una pagina della rivista “Sorrisi” : "pazientate ancora una settimana, il primo dicembre avremo i dischi adatti a ballare l’hula hop". L’eco anticonvenzionale proveniente dall’Università di Berkeley (USA), dove iniziò la contestazione giovanile studentesca, innescò un sentimento anticonformista che in Italia diede vita a nuove influenze culturali: la musica dei figli dei fiori, la canzone italiana e una nuova consapevolezza: quella di divertirsi
MASSIMILIANO RASO
C'è stata un’epoca in cui la vita era scandita dal richiamo delle azioni di riti particolari, di buffoni e stolti, di cantastorie di diversa natura, parti e particelle di un sapere popolare. Il culto delle divinità e la cultura del vino erano una metafora della vita e della sua continuità. Dietro la natura selvaggia, la possessione estatica, la danza, le maschere, Dioniso risvegliava l'entusiasmo popolare tarantino. "...l'eccitazione si era trasmessa all'intero bosco, alle belve: non c'era più niente di fermo, tutto si agitava in frenesia”. Lo storico Strabone era greco come i tarantini. Egli constatò che a Taranto i giorni di divertimento superavano quelli di lavoro: una spiccata tendenza festiva che fece gridare in età moderna “al trionfo della festa e della cultura della festa”. Pare che Archita avesse realizzato uno strumento folcloristico da utilizzare nelle feste popolari: la raganella. Un meccanismo particolare che permise, nel Medioevo, l’effettuazione di manifestazioni musicali ritmate. Chi rimase sgomento davanti ad un numero così elevato di divertimenti fu Pirro, in soccorso ai tarantini durante la guerra contro Roma. Dovette addirittura cercare di contenere l’eccessiva leggerezza, sia nei passatempi sia nei costumi tarantini, attraverso censure e divieti, con scarsi risultati peraltro. Il poeta Orazio compose uno spartito di sentimenti e musicalità elegiaca a cornice preziosa della storia definendola “imbelle Tarentum”, ossia la pacifica Taranto.
Rimane poco della dolce città ionica e dei suoi tanti attimi di condivisione dello svago. E pensare che era talmente acculturata che la ritualità festiva divenne un marchio di riconoscimento. Una forma di potere più alto, anche questo lasciato in eredità, incredibilmente, dalla sua millenaria storia.
MASSIMILIANO RASO
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
IN DIFESA DELLA STORIA TARANTINAIn difesa della storia tarantina
Che senso ha oggi parlare della storia di Taranto? La storia nasce dall’interesse del passato e dal piacere di scoprire in esso fatti nuovi. Lo storico Lacombe faceva appello alle emozioni, oltre che alla verità obiettiva, quando diceva: “ che utilità c’è per noi di sapere[…]che un macedone di nome Alessandro ha battuto i Persi nel luogo tale e tale, nell’anno tale e tale[…]quando non se ne trae in fondo una verità o un’emozione? Sembrerebbe che tremila anni di storia fossero rimasti volontariamente dimenticati e che per un’idea di progresso garantito dallo sviluppo sia della scienza, sia della tecnica, si potesse legittimare quell’evidente decadimento sociale, economico e culturale in itinere. Hume una volta affermò che un medico non poteva arrischiare previsioni superiori a quattordici giorni e un politico al massimo poteva prevedere un futuro di alcuni anni. La storia politica tarantina ha lasciato un vuoto abissale nella coscienza civica ionica. Le intuizioni amministrative sulla cosa pubblica tarantina hanno creato una ferita che nessun medico, quanto mai un politico bieco, potrà difficilmente sanare. Cosa occorre oggi alla città bimare? Una vera rivoluzione. La rivoluzione è quella trasformazione a lunga scadenza, quando non è violenta, di eventi e strutture che penetrano profondamente nella vita quotidiana. E’ accaduto ai Parteni, cittadini spartani non integrati, che navigando in "quel mar color del vino" approdando sulle coste tarantine, avviarono quel sovvertimento delle leggi.
Aggrapparsi al passato, che è la sostanza del tempo. Attenzione, però, può disperdersi e svanire insieme con la memoria. Cicerone, del resto, metteva in guardia quando affermava che se la memoria non la eserciti, o se sei un po’tardo di natura, diminuisce. E’ accaduto questo a Taranto? La politica ha messo da parte la cultura, ossia la storia, facendo leva sul futuro passato? Lo sviluppo “graduale e progressivo” della democrazia e dell’eguaglianza è inarrestabile e varrebbe la pena favorirne con coraggio il suo corso. Certamente in Alexis de Tocqueville affiorava, all’indomani della rivoluzione industriale, quanto meno se non preoccupazione, nostalgia e rimpianto del vecchio mondo. ”Poiché il passato non rischiara più l’avvenire, lo spirito avanza nelle tenebre”. Quando si parla di personaggi illustri come Archita, Aristosseno, Andronico, che ha tradotto per primo l’Odissea di Omero in latino, la sensazione è di grandezza rispetto ai fatti stessi la cui giusta politica di sviluppo portò Taranto a diventare la metropoli più ricca e importante dell’area magnogreca. Si assiste, però, all’arroganza di chi odia il passato e che risuona sulle labbra di avidi industriali o in laboratori dove avvengono esperimenti mortali. Allora è attuale l’arretramento democratico, il quale favorisce il rafforzamento di nuove corporazioni (sottratte al controllo dello Stato) capaci di prendere decisioni rilevanti, commerciali o ambientali, senza alcun vaglio statale. Non è possibile, parrebbe, comprendere una Taranto le cui suggestive vedute hanno portato i pittori del Grand Tour a dipingere meravigliosi paesaggi, sperimentando ed imparando a conoscere non solo l’arte, la politica, la cultura, l’ambiente. Difficile ricordare quell’emozionante paesaggio d’ulivi, di orti e il dolce Galeso ombreggiato dai pini, ora tutto circondato da un’isola nera fatta di solo squallore. Il racconto di Taranto è tutto un romanzo, nessuno vi può rinunciare. Perciò insieme diremo solo parole in difesa della storia tarantina, una grande opportunità di vita per tutti.
MASSIMILIANO RASO
------------------------------------------------------------------------------------------------------------

DIVERTIRSI E BALLARE IN ITALIA DAL DOPOGUERRA AGLI ANNI 60
Con l’Europa traghettata fuori dalla spirale negativa dei totalitarismi del periodo bellico, grazie anche al piano Marshall, una lunga età dell’oro crea le premesse per una “società del benessere”. Ai cittadini si assicura la quasi totale copertura dei bisogni, “dalla culla alla tomba” come sognava Beveridge. L’euforia conseguente la fine della seconda guerra mondiale fa esplodere la voglia di uscire dalle case per esprimere tutte le energie a lungo represse negli anni del conflitto. Al dolore, alla sofferenza per un’esistenza tormentata, è contrapposto il desiderio di divertirsi. E’ l’Italia intellettuale della cultura neorealistica, quella che si riscopre incline a distrazioni inconcepibili un tempo. Dal dopoguerra in poi la voglia di divertirsi accende gli animi. Sono in molti che si cimentano, per esempio, nel ballo: soldati, casalinghe, operai, industriali, in una frenesia collettiva che coinvolge le classi sociali più disparate. Marco Innocenti in “L’Italia del 1945” così scrive: “… Si balla nelle case, nei cortili, nelle piazze, sotto i pergolati. Si balla senza respiro[…]I fonografi a manovella diffondono le note del boogie-woogie…In un articolo degli anni cinquanta sulla “gioventù dalle ali scottante” Camilla Caderna dipinge così quella che può essere definita la piccola America di Milano: i maschi portano tutti i pantaloni di tela e camiciotti a scacchi, scarpe da tennis e giubbotti da pallacanestro con la scritta dietro(…). I milanesi li videro tutti insiemi questo inverno, quando ci fu il primo campionato di rock and roll al palazzo del ghiaccio. L’Italia è terreno fertile per nuove sperimentazioni di divertimenti e feste. Paul Ginsborg ci ragguaglia sulle centinaia di luoghi dove passare il tempo divertendosi ballando e festeggiando con tanti giovani che: “ abbandonano la costrizione della vita rurale”. In un’inchiesta sulle professioni italiane tra il ‘50 e ‘60 Giorgio Bocca segnala che nelle grandi città una persona su quattro è votata al divertimento coreutico. A voler fare due calcoli è un esercito di ballerini quello che si divide tra feste private e dancing pubblici. Intanto il mercato discografico esplode ed il Juke box, in crescita esponenziale in questi anni, diffonde sonorità inascoltate prima. Anche la moda dell’hula hop è un pretesto per darsi allo svago. Così si legge su una pagina della rivista “Sorrisi” : "pazientate ancora una settimana, il primo dicembre avremo i dischi adatti a ballare l’hula hop". L’eco anticonvenzionale proveniente dall’Università di Berkeley (USA), dove iniziò la contestazione giovanile studentesca, innescò un sentimento anticonformista che in Italia diede vita a nuove influenze culturali: la musica dei figli dei fiori, la canzone italiana e una nuova consapevolezza: quella di divertirsi
MASSIMILIANO RASO

Nessun commento:
Posta un commento