RAFFAELLA NAZIONALE. DA BALLERINA A REGINA DELLA TV ITALIANA
Valeria Muccifora, nel suo libro Grazie Raffa, ha scritto: “ Dalla Carrà alla Carrà. Gli abiti, il trucco, l’acconciatura, il modo di parlare. Lei non fa esistere di sé altra persona all’infuori di quella televisiva". Il critico televisivo Omar Calabrese è tra i pochi che ha tentato di analizzare il perché del grande successo di Raffaella Carrà. “Sono nata con la Tv perché la Tv è il mio mezzo giusto”. La Carrà, in effetti, non corrisponde a nessun canone di donna dello spettacolo: non è una Show Girl e neanche un'Anchor Women. Omar Calabrese a tal proposito ha scritto: ” …non è una vamp, non è un’artista in senso stretto (come Mina che è principalmente una cantante), non è una sbarazzina (l’esempio è Heather Parisi), non è una svampita(come lo è stata egregiamente Minnie Minoprio, e dopo Carmen Russo), non è neppure una bruttina di carattere come Sandra Mondaini…”. Nel programma televisivo “io, Agata e tu” del 1969, la Carrà inventa un nuovo stile di showgirl tagliandosi uno spazio tutto suo grazie alle qualità coreutiche apprese da bambina. Queste le sue parole in un'intervista: ” …mi hanno offerto la parte…chiedo tre minuti soltanto per me…tre minuti del mio balletto…”. Pochi mesi dopo fu chiamata a condurre uno tra i programmi meglio riusciti della tv italiana, Canzonissima. Raffaella osa e fa spettacolo con un corpo aggraziato, pieno di sinuose movenze, cantando e presentando. Quando lancia il “Raggae rrr”, un ballo semplice composto di tre passi avanti e tre indietro, seguito da movimenti in cui ci si ferma per urlare raggae rrr, imitando la smorfia del graffio, la Carrà è percepita come una ballerina. Il successo televisivo arriva nei primissimi anni settanta; è stato detto che fu l’inizio di tutte le Simone Venture.
Da Canzonissima a Mille Luci, dall’Italia alla Spagna, e con il programma televisivo Carramba che sorpresa, la Carrà crea un nuovo modo di fare spettacolo in tv facendo gridare al nuovo varietà: un mondo meraviglioso fatto di luci, personaggi, rappresentazioni.
MASSIMILIANO RASO
MASSIMILIANO RASO
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A distanza di quasi cinquant'anni dall'uscita del libro di Umberto Eco dal titolo "Fenomenologia di Mike Buongiorno", il critico televisivo Aldo Grasso sente la necessità di elogiare, in questo caso senza condannare, l'eccezionalità televisiva dell’artista siciliano che, come si legge in un articolo, ha un solo nome e cognome: Rosario Fiorello. Dagli esordi televisivi dei primi anni novanta è trascorso tanto tempo: l'ex codino imperversava, infatti, con la grande novità musicale del Karaoke. Un coronamento che gli va tributato senza dimenticare quelle che sono le sue vicende artistiche che affondano nell'anima dei villaggi turistici. Al Valtur di Brucoli in Sicilia, Mimmo Bertoni, amico storico di Fiorello, fa divertire la gente in vacanza con i suoi spettacoli giornalieri. Il suo racconto, pubblicato di recente su un noto settimanale italiano, è incredibile. Una notte d'estate, il nuovo Walter Chiari italiano, viene catapultato sul palco. Probabilmente se dovessimo ipotizzare un inizio carriera, dovremmo pensare a questo episodio. Fiorello intona una strabiliante My Way di Frank Sinatra cantata, però, in dialetto siciliano. Ovviamente non conosce una sola parola d'inglese.
Ma la sua vocalità è talmente eccezionale che la gag dialettale diventa irresistibile. Il mattacchione coinvolge, intrattiene, canta, fa parlare di se al punto che si scomoderà il talent scout Claudio Cecchetto per assistere ad un suo show. Il suo ultimo programma, " il più grande spettacolo dopo il weekend" è stato un vero trionfo. Interagisce con la platea come se gli anni di animatore nei villaggi turistici non fossero mai trascorsi. Coinvolge i personaggi principali ospiti del programma facendo diventare un tutto compreso nell’animazione serale. E’ anche questo il varietà. E forse è questo lo spettacolo che dobbiamo intendere, quello che proviene dalle origini autentiche di un ragazzo che ha talento e passione
MASSIMILIANO RASO
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MICHEL PETRUCCIANI
Il destino è uno strano concetto che l’uomo scopre casualmente durante la sua vita. L'osteogenesi imperfetta è una malattia comunemente conosciuta con il nome suggestivo di “Sindrome delle ossa di cristallo”. Questa patologia crea problemi a carico dello scheletro, delle articolazioni, degli occhi, delle orecchie, della cute e dei denti. Un dramma per chi sin dalla nascita deve fare i conti con questo male. Una tragedia, però, non colpisce un uomo se questo uomo è un musicista di talento. La musica vince sempre la partita della vita. Il critico musicale Massimo Cotto ha scritto: “Impressionava il suo corpo deforme, le sue mani grandi compensavano, come se gli dei gli avessero lasciato il premio di consolazione”. La storia di Michel Petrucciani, piccolo grande musicista jazz, è nostalgica quanto commovente. Nonno napoletano immigrato negli Stati Uniti e padre chitarrista jazz, la malattia gli creava atroci dolori alle ossa e gli impediva la crescita. In sostanza non riusciva ad arrivare a toccare i pedali del pianoforte. Il padre riuscì ad inventare un incredibile meccanismo consistente in un parallelogramma articolato per raggiungere la pedaliera. Michel voleva suonare il pianoforte; amava quello strumento che lo rendeva libero, gli provocava forti emozioni. Il legame tra esperienze musicali e culturali statunitensi ed europee è molto antico. Il jazz ha sempre avuto solisti le cui esperienze erano condivise dalle due parti dell’Atlantico: Bobby Jaspar, Errol Prker, Josef Zawinul e, naturalmente, Michel Petrucciani. Bravura tecnica, genialità, dominio della tastiera, tocco inconfondibile il Petrucciani rivendicava, e ringraziava, sempre la musica: “Non potendo avere una vita normale mi sono dedicato alla musica”. Era talmente talentuoso che effondeva emozioni uniche. "Per me suonare il piano è come fare l’amore, come un orgasmo. E’ meraviglioso e non è pornografico farlo davanti al pubblico. Anzi, è legale." Gravi complicazioni polmonari spensero per sempre i riflettori sulla vita di Michel a soli 37 anni. Il jazzista italoamericano non prendeva la musica troppo sul serio. Egli era solito asserire che con la musica bisognava sapersi semplicemente divertire. Aveva calpestato i più grandi palcoscenici del mondo, duettando con i maestri jazz rapportandosi con umiltà all'arte, senza mai far notare quella sua diversità. Un uomo alto appena un metro e le cui ossa si spezzavano al solo tocco far riflettere. Perché? Per la sua capacità di ritagliarsi uno spazio di vita normale che nemmeno il fato ha potuto ostacolare e cambiare.
MASSIMILIANO RASO

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